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La pastorizia a rischio rottamazione
di Giuseppe Pulina
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Da quando esiste la pastorizia in Sardegna, cioè da sempre, il valore di mercato di una pecora da vita é stato uguale al reddito lordo da questa generato in una annata agraria. In questo momento il valore di mercato delle pecore produttive é intorno ai 100 euro a capo, con fluttuazioni fino a 80 euro per interi greggi e casi isolati di vendite a 50 euro per chi si vuole disfare del gregge.
Se facciamo un poco di conti, é possibile verificare che, anche con un latte pagato attualmente a 65 cent al litro (nonostante le promesse di Prato & Cappellacci) e un agnello a 3,5 euro al kg, il valore di una pecora media è di 140 litri x 0,65 € + 15 kg di agnello (considerando anche la rimonta) x 3,5 €= 143,5 euro. Come mai? Un mercato funziona con leggi ferree e semplici, sia che si tratti di pecore, che di azioni. In questo caso il prezzo della pecora da vita ci dice che un allevatore sconta i maggiori oneri di produzione, rispetto al ricavo presunto che, nella vita produttiva restante di un capo medio pari a 2 anni, è quantificabile in circa 20 euro/anno.
Questo é il valore delle diseconomie che si accumulano annualmente per capo produttivo e che stanno mandando a rotoli la pastorizia sarda (e probabilmente arricchendo qualcuno). Il mercato ci dice anche che quotidianamente diverse migliaia di capi sono macellati (in largo anticipo rispetto al mese classicamente dedicato della riforma che é agosto) e che altrettanti prendono il largo verso lidi che remunerano meglio il latte, acquistati da allevatori (magari di provenienza sarda) ai quali non sembrerà vero di chiudere un affare del genere.
Intanto i nostri pastori hanno allevato una rimonta (le agnelle che annualmente sostituiscono le pecore riformate) pari al 50% di quella necessaria per mantenere almeno costante il patrimonio ovino dell'Isola. Fra macellazioni, vendite e mancata rimonta, il parco fattrici sta subendo una vera e propria falcidia e il settore, come spesso denunciato da queste pagine di Sardegna Democratica, si avvia verso un’implosione. In queste condizioni, alcuni allevatori stanno pensando di sostituire la razza Sarda con la Assaf, animale selezionato in Israele dall'incrocio della razza locale Awassi e della olandese Frisona, capace di dare elevate produzioni di latte e perfettamente adattata al clima mediterraneo tanto da essere diventata una delle razze più diffuse anche in Spagna.
E questi allevatori sono disposti a pagare questi capi 400 euro scommettendo così su una loro produttività almeno tripla di quella della pecora nostrana. Come dargli torto? Ammesso che non esiste uno straccio di sperimentazione, per cui si tratta di una scommessa con una buona dose di rischio (ma in questo i pastori si dimostrano imprenditori), il punto é che a questi livelli di produzione la pecora Sarda sembra fuori mercato, almeno da quello della Sardegna. A mio avviso non si tratta di un problema di razza, piuttosto di sistema produttivo. Infatti, con opportune tecniche e con una maggiore attenzione alla selezione si potrebbe produrre bene anche con la razza Sarda.
Eliminando ad esempio la favola che senza concentrati si risparmia, cosa possibile in base ad un mio esperimento soltanto se il prezzo del mangime aumentasse del 20% e quello del latte diminuisse del 20% rispetto ai prezzi attuali; oppure tenendo conto che in un gregge ben tenuto e alimentato (senza una base genetica di particolare pregio) le pecore possono essere munte per 9-10 mesi invece dei 5-7 attuali, raggiungendo comodamente i 300 litri di latte munto a capo (meglio delle Assaf se riferito al peso corporeo delle pecore); che lo svezzamento precoce degli agnelli può far guadagnare fino a 15 euro a capo (l'equivalente della nuova misura sul benessere). I margini ci sono, ma se chi trasforma e vende continuerà nella incapacità mostrata finora di valorizzare il prodotto, anche questi sforzi, che si tratti di pecore Sarde o di Assaf, saranno inutili e la rottamazione del sistema produttivo, dalla sua cultura e del suo paesaggio saranno ineluttabili.
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